La sera di giovedì 10 ottobre 2024 ho avuto l’incredibile fortuna di assistere a uno spettacolo assai raro per le nostre latitudini: un’aurora boreale! Già da qualche giorno monitoravo attentamente diversi siti di previsione di aurore e sull’attività solare, anche perchè in questo periodo l’attività del Sole sta raggiungendo il picco. Ricordo infatti che l’attività solare non è costante, ma segue un ciclo della durata media di 11 anni, e stesso andamento seguono tutte le manifestazioni tipiche dell’attività solare: macchie e protuberanze solari, brillamenti, tempeste geomagnetiche…

Per capire come si forma un’aurora, è necessario un excursus su struttura e funzionamento del Sole.

Il Sole è in assoluto la stella più vicina a noi: la sua distanza media dal pianeta Terra è pari a 1 UA (unità astronomica), pari a circa 150 milioni di chilometri.
Col suo diametro di 1400000 km potrebbe contenere al suo interno, allineati uno dopo l’altro, 109 pianeti come la Terra. La sua massa è pari a circa 333000 volte la massa del nostro pianeta e costituisce più del 99% della massa dell’intero Sistema Solare. La sua accelerazione di gravità è 28 volte quella terrestre: ciò significa che una persona che sulla Terra pesa 70 kg, sul Sole peserebbe la bellezza di 1960 kg!
Il Sole si è formato assieme al resto del Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa in seguito alla contrazione della zona centrale di un’enorme nube di gas e polveri dovuta alla forza di gravità; a causa delle elevate pressioni, temperature e densità raggiunte nel centro della nube, hanno potuto avere origine le reazioni termonucleari di trasformazione di idrogeno in elio che tuttora sostentano il Sole.
Il Sole è caratterizzato da una struttura a strati che ricorda un po’ quella di una cipolla:

Partendo dal centro e andando verso l’esterno troviamo i seguenti strati (con R indicherò nel seguito il raggio solare):

Nucleo – dal centro fino a 0,2 R circa: racchiude circa la metà della massa della nostra stella. E’ la zona in cui avvengono le reazioni di fusione termonucleare che trasformano l’idrogeno in elio, tramite cui il Sole produce l’energia e il calore che poi giungono sulla Terra. Per darvi un’idea delle energie in gioco, pensate che ogni secondo vengono trasformate in elio milioni di tonnellate di idrogeno, alla temperatura di circa 15 milioni di gradi (e noi che ci lamentiamo d’estate per il caldo quando abbiamo una quarantina di gradi… ) e ad una pressione pari a 2,477×10 11 volte quella presente sul nostro pianeta; questo processo va avanti da più di 4 miliardi di anni e continuerà per circa altri 5.

Zona radiativa – tra 0,2 R e 0,7 R circa: è l’involucro di plasma in cui l’energia in arrivo dal nucleo si propaga per irraggiamento: essa viene liberata verso l’esterno sotto forma di raggi gamma; questi fotoni altamente energetici vengono emessi e riassorbiti in continuazione a causa dell’alta densità del plasma con cui si scontrano; prima di lasciare definitivamente la zona radiativa, un fotone gamma può impiegare anche centinaia di migliaia di anni.

Zona convettiva – tra 0,7 R e 1 R circa: l’energia in arrivo dalla zona radiativa viene trasportata verso la fotosfera (la superficie visibile del Sole) attraverso moti convettivi di gigantesche masse di plasma, il cui moto ricorda un po’ quello delle correnti che nascono in una pentola d’acqua in ebollizione. Queste enormi masse gassose creano delle celle di convezione, o granuli, che risalgono fino alla fotosfera; il loro insieme è chiamato granulazione.

Fotosfera – distanza dal centro circa 1 R: è la superficie visibile del Sole che irradia quasi tutta la luce solare ed ha una temperatura di circa 5700 gradi. Ad essa è dovuto il colore giallo della nostra stella. Il suo aspetto granuloso è dovuto a gigantesche bolle di gas molto caldi che affiorano dalla sottostante zona convettiva. I granuli (detti anche “grani di riso”) durano pochi minuti, ma il loro movimento complessivo rende la fotosfera simile ad una superficie in ebollizione. Oltre alla granulazione, sulla fotosfera si possono scorgere diversi dettagli: i più noti sono senz’altro le macchie solari, che consistono di una zona centrale scura detta ombra e di una zona più chiara, la penombra, che circonda la prima. Si tratta di zone caratterizzate da campi magnetici molto intensi: una parte dell’energia proveniente dall’interno del Sole viene destinata proprio alla formazione di questi campi magnetici, per cui in corrispondenza delle macchie vi è un deficit di energia, ragion per cui la temperatura in corrispondenza di esse è di qualche centinaio di gradi inferiore rispetto alla temperatura media in fotosfera. Le macchie seguono un ciclo undecennale in cui il loro numero varia da un valore massimo ad un valore minimo. Man mano che il ciclo prosegue le macchie solari diventano più numerose; dopo essere apparse prima ad alte latitudini, si spostano man mano verso l’equatore. Le macchie variano considerevolmente per dimensione, forma e complessità. Nel 1769 l’astronomo scozzese Alexander Wilson notò che le macchie più grandi, osservate ai bordi del Sole, apparivano come un “piattino”: affermò quindi che esse erano depressioni sulla superficie solare. In realtà oggi sappiamo che non si tratta di vere e proprie depressioni sulla fotosfera, ma di un’illusione dovuta al fatto che il gas nel campo magnetico sopra la macchia è molto tenue e trasparente, per cui è possibile vedere a maggiore profondità nella fotosfera. Le facole sono zone filamentose un po’ più luminose della fotosfera circostante perchè lì i campi magnetici depositano una maggiore quantità di energia; solitamente si trovano attorno o nei pressi delle macchie, ma può capitare che siano isolate e senza macchie al loro interno, se non c’è un campo magnetico sufficientemente forte per permettere la formazione di una macchia.

Cromosfera – tra 1 R e 1,02 R circa: si tratta di uno strato di gas molto rarefatto e di colore rosso-rosato, visibile alla lunghezza d’onda di 656,3 nm, corrispondente all’emissione nella riga H-alfa dell’idrogeno. Benchè questa lunghezza d’onda cada all’interno della banda della luce visibile, è parecchio difficile da osservare perchè è “affogata” nell’intensa luminosità della fotosfera. Nonostante ciò, con appositi strumenti, è possibile scorgere diversi dettagli, come le protuberanze, che appaiono come fiamme rosseggianti sul bordo del disco solare: esse sono enormi getti di gas la cui forma segue le linee di forza del campo magnetico. Le protuberanze più grosse e spettacolari possono raggiungere dimensioni paragonabili a quelle del Sole stesso, ma mediamente le loro dimensioni si aggirano sulle migliaia o decine di migliaia di chilometri; hanno durate variabili da alcuni minuti a qualche mese e piccole variazioni del loro aspetto si possono apprezzare già nel giro di poche ore. Se le protuberanze sono visibili all’interno del disco solare, esse prendono il nome di filamenti e appaiono come delle sottili linee irregolari di una colorazione rosso cupo, più scuro rispetto al rosso acceso della cromosfera. Le spicole appaiono come piccole protuberanze sottili sul bordo solare; mediamente hanno altezze di circa 7500 km e una larghezza di 800 km. Un’altra manifestazione dell’attività solare cromosferica è il brillamento o flare solare: si tratta di una violentissima emissione di energia (pari a milioni di volte l’energia consumata dall’umanità in un anno!) localizzata su una zona estesa un centesimo dell’intera superficie solare. Durante un brillamento si assiste all’emissione di radiazione su tutto lo spettro elettromagnetico e all’improvviso aumento di luminosità della zona interessata dall’evento. E proprio uno di questi brillamenti è stato il protagonista all’origine dell’aurora del 10 ottobre.

Corona – distanze maggiori di 1,02 R: è la parte più esterna dell’atmosfera solare; visibile soltanto durante un’eclisse totale di Sole oppure tramite appositi strumenti, i coronografi, montati sulle sonde spaziali come un alone perlaceo-biancastro. Il plasma che la compone è molto rarefatto. Oltre la corona il Sole emette nello spazio un flusso continuo di particelle elettricamente cariche, specialmente protoni ed elettroni, detto vento solare. Ed è proprio quest’ultimo l’altro grande protagonista alla base delle aurore polari. Il vento solare, quando viaggia in direzione della Terra, interagisce col suo campo magnetico, e viene “incanalato” verso i poli, un po’ come fanno i binari per un treno: lì interagisce poi con l’atmosfera terrestre, eccitando gli atomi che la compongono, cioè fornisce loro una piccolissima quantità di energia. Quando questa energia viene rilasciata, cioè gli atomi ritornano nel loro stato fondamentale, tale energia viene riemessa sotto forma di un piccolissimo lampo di luce: a seconda del tipo di atomo e dell’altezza a cui avviene questa interazione, si hanno aurore di colori diversi: verde se c’è interazione con l’ossigeno, rosso se tale interazione sempre con l’ossigeno ma a quote maggiori etc.

Schema delle interazioni vento solare – magnetosfera terrestre. Fonte: Research Gate

Quando l’attività del Sole è molto intensa, come appunto in questo ultimo periodo, possono verificarsi anche delle eruzioni di massa coronale, cioè emissioni di gigantesche bolle di plasma che viaggiano anche verso il nostro pianeta provocando tempeste geomagnetiche. Le tempeste geomagnetiche vengono classificate in base all’intensità tramite l’indice G, che sta per NOAA Geomagnetic Storm Index: G0 indica tempeste geomagnetiche di bassissima intensità, mentre G5 quelle molto intense. All’aumentare di G aumenta anche la probabilità di vedere aurore a latitudini medie, come dall’Italia.

Un altro parametro utilizzato per stimare la probabilità che si verifichino tempeste geomagnetiche più o meno intense è l’indice Kp, comunque associato all’indice G:

Ebbene, giovedì 10 ottobre si è verificata una tempesta geomagnetica di classe G4, il che implica una elevata probabilità di vedere un’aurora dal nostro Paese!

A differenza delle aurore tipiche visibili dalle alte latitudini, qua in Italia è stato possibile osservare e fotografare aurore rosse. Perchè? Tecnicamente parlando, l’aurora che si è vista dall’Italia il 10 ottobre è un SAR, acronimo che significa Stable Auroral Red arcs: questi fenomeni si verificano a quote molto maggiori di quelle delle tipiche aurore verdi, perché sono generate dall’interazione tra il vento solare e la parte più interna delle Fasce di Van Allen, cioè la parte più interna della magnetosfera terrestre. Visto che i SAR si verificano a quote più elevate, sono anche visibili a latitudini più basse per via della curvatura terrestre, come si evince dalla seguente figura:

Da latitudini diverse si vedono aurore di colore diverso. Fonte: https://www.gi.alaska.edu/monitors/aurora-forecast
Il colore delle aurore varia a seconda della quota. Fonte: https://www.gi.alaska.edu/monitors/aurora-forecast

I diversi colori delle aurore, oltre che dalla latitudine, dipendono anche dal gas con cui interagisce il vento solare e dalla quota a cui avviene questa interazione L’ossigeno eccitato a differenti livelli di energia può originare aurore sia rosse che verdi: il verde è più frequente a quote tra 120 e 180 km, il rosso invece si manifesta a quote oltre i 200 km. L’azoto eccitato a quote fra 120 e 180 km dà il blu, mentre a quote inferiori a 100 km l’azoto può produrre luce sia rossa che blu, dando all’orlo inferiore dell’aurora un colore dal rossastro-violetto al rosa, specialmente durante aurore intense.

Fonte: Aurorasaurus

Vi lascio un po’ di link se volete approfondire il discorso:

Allertata da Marco, un amico astrofilo del mio gruppo di appassionati, che è un esperto osservatore del Sole, tramite un messaggio nella chat di gruppo, sono uscita sul terrazzo attorno alle 20:30 senza troppe aspettative di vedere l’aurora, figurati se dall’Italia si vede. L’unica cosa che si vedeva era giusto una velatura rossastra guardando verso nord. Con mio sommo stupore però dopo un po’ quella velatura è diventata di un rosso decisamente più intenso, fino a vedersi nettamente a occhio nudo e a tingere di rosso il cielo! Mi sono precipitata a recuperare la reflex, non potevo mica lasciarmi sfuggire una tale meraviglia! Ed ecco il bottino della mia personalissima caccia all’aurora, tutte le foto sono state ottenute con una Canon EOS 1300D e con diversi tempi di esposizione a seconda dell’ottica utilizzata: 0,6 s 1600 ISO con il 50 mm f/1,8; 6 s 1600 ISO con il Samyang 8 mm focale fissa fish-eye. Per dare un’idea di quanto fosse intensa l’aurora, ho caricato anche le foto riprese attraverso la modalità notte del telefono, corrispondente a 2500 ISO, focale 23 mm, f/1,8, esposizione 1/4 s:

E infine… non può mancare il timelapse! Scatti da 6 s 1600 ISO ripresi sempre con la 1300D e il Samyang 8 mm focale fissa 😉